Morbide prominenze di tette in aereo

L’uomo è seduto nel posto più scomodo, quello al centro, tra il finestrino e il corridoio. Deve essere un preciso, lo denuncia il soprabito perfettamente ripiegato, tenuto stretto a cavallo delle braccia congiunte sul torso. La pelle del volto ostenta una lucidatura da eccesso di balsamo dopobarba dopo una rasatura che diffuse macchie rosse di irritazione dichiarano profonda e recente. Capelli bianchi tagliati non più tardi di ieri.

Il tentativo di eleganza sportiva, pantaloni grigi di cotone sotto giacca blu e camicia azzurra, si infrange sulla cravatta blu. Blu su blu, attestato di ineleganza, vano tentativo di emancipazione da un gusto approssimativo e stereotipato.

A ben vedere in mezzo, però, sono io.

Lei è alta, come si intuisce dalle lunghe gambe. Le morbide prominenze di tette corpose ma non esuberanti e una gestualità che allude a una certa dimestichezza un po’ villana, non lasciano adito al dubbio che sia bona. Il suo tentativo di sportiva eleganza è così mal posto che descriverlo rovinerebbe questo svago. Basti sapere che la camicia aperta sul top nero, stretto, è di pessimo cotone spiegazzato.

Devono aver prenotato separatamente e io, con la mia gamba rotta e la necessità del corridoio destro, gli sono finito in mezzo. Lei affaccia sul corridoio, medesima fila, lato opposto. Smania, parla attraverso me, vorrebbe trasferirsi accanto a lui prima ancora che sia finito l’imbarco.

Lui è timoroso, paralizzato dalla paura di dare troppo nell’occhio e di una presenza inattesa che possa sbucare da un momento all’altro. Vuole attendere il decollo. Anche dopo il decollo, quando lo scampanellio e lo spengimento della lucetta delle cinture di sicurezza annuncia il rompete le righe, è restio.

Lei lo intuisce e allora chiede a me qualcosa che non intendo. Ho le cuffie, i Soundgarden mi stanno aspirando nel buco nero solare, non la sento. La invito ad attendere che spenga la musica e quando sfilo le cuffie ascolto: “potrebbe spostarsi al posto mio?”.

Lui non si gira, si sforza di guardare fisso avanti, è indifferente quasi. Starà fremendo.

“No”, è la mia risposta secca, troppo secca. Me ne accorgo subito e dopo l’attimo di gelo, aggiungo: “non vorrei apparire scortese, ma questo posto non è casuale, l’ho comprato apposta per via della gamba. Ho le stampelle. Mi spiace, non la prenda come una scortesia”.

Lui sta morendo di diversi spasmi: la frenesia di stare con lei, l’imbarazzo, la paura, l’inquietudine. Si tocca tutto con uno sguardo e se ne ha conferma quando si dissocia: “io non ho chiesto proprio perché ho visto le stampelle quando è salito”.

Allora lei passa al piano b. Ha un posto libero affianco ed è lui a spostarsi. È molto cauto, vuole chiedere il permesso, lo sollecito ad andare, perché ormai quel posto è vuoto, durante il volo certo non salirà nessun altro. Slaccio le cinture, mi alzo, lui si sposta. Non appena si siede lei intreccia il braccio al suo e chissà cos’altro. Lui si scioglie, è più naturale, iniziano a parlare senza prender mai fiato, lei è costantemente girata verso di lui. È bella ma curata troppo schiettamente, le manca finezza. Inizia il loro viaggio insieme, finalmente.

Quando scendiamo, chiedo scusa, genericamente. Li saluto con un sorriso affettuoso e gli auguro “buon week end”.

Lei a quel punto, come se avesse finalmente inteso una mia benevolenza, mi chiede: “ho visto che si occupa di ristoranti, ci consiglierebbe un ristorante a Verona centro?” Glie ne suggerisco un paio. Lui resta muto mentre lei mi saluta sbracciandosi dopo aver afferrato un mio biglietto da visita.

Poco fa ho ricevuto un whatsapp. Non lo apro.