la sorprendente bufala beneventana

Sono cresciuto sentendo i “grandi” dire che l’industria era la via per il progresso. L’industria, quindi, come soluzione per la ricchezza e per il lavoro ed ho, a lungo, considerato la campagna solo come luogo in cui edificare villette per ritirarsi nei week-end e nei periodi di ferie. L’agricoltura era l’attività dei “cafoni”, un’attività povera che allontanava dagli agi e dal benessere della città. Benevento per decenni ha cercato la via dello sviluppo nell’industria, considerando poco le sue vocazioni agricole. Col tempo ho conosciuto il valore culturale e economico del’agricoltura e mi piace iniziare questa rubrichetta, parlando di una produzione agricola di città: la mozzarella di bufala prodotta a Benevento. Penserete subito all’eresia ed io stesso in principio, quando ho scoperto questa produzione, e per molti mesi sono rimasto scettico. Benevento non ha una tradizione in questo settore, o almeno ha una tradizione poco nota, ed è fuori dal territorio della DOP Mozzarella di Bufala Campana (per l’esattezza, della nostra estinguenda provincia, fanno parte dell’area DOP solo i comuni di Limatola, Dugenta ed Amorosi).
La bufala da latte, del resto, ha bisogno di acqua (terreni paludosi) e di climi miti; col freddo ha la peggior reazione possibile per chi intenda produrre latticini freschi e formaggi: produce un latte sensibilmente meno ricco in grassi ed i grassi danno, sapore, morbidezza e aromi alla mozzarella, ed ai formaggi in genere. Allevare bufale per produrre latticini di qualità a Benevento, dunque, è una bella sfida che l’azienda agricola San Filarete sta portando avanti con uno sforzo di studio e ricerca. Ne è venuto fuori un progetto minuziosamente attento a tutti gli elementi, alimentari e non, capaci di incidere sul benessere delle bufale e sulla ricchezza in grassi e proteine del latte da loro prodotto nei vari periodi dell’anno; un progetto che mira al controllo ed all’autoproduzione del mangime nonché alla realizzazione di una “piscina” per gli animali. Sapienza, passione, cultura, fatica, rischio, ecco i fattori di un’agricoltura evoluta e di qualità.

Produrre mozzarella di bufala è arte, al pari del produrre champagne; come il viticoltore francese caratterizza il gusto delle suo vino con il “dosage”, la miscela con cui si rabboccano le bottiglie dopo l’eliminazione delle fecce della rifermentazione in bottiglia, così il casaro caratterizza la sua mozzarella con l’aggiunta della “cizza” al latte delle bufale, prima di cagliarlo. La “cizza” è il siero inacidito della lavorazione precedente. La coltura della “cizza” ed il suo dosaggio costituiscono il segreto e l’arte del casaro. Seguo la sperimentazione della produzione di San Filarete da quando la mozzarella era nerboruta e secca, filata da un latte ricco più di proteine che di grassi e probabilmente non tutto era ancora chiaro nel processo di filatura. Oggi, ancora in fase sperimentale, la mozzarella ha raggiunto livelli davvero già eccelsi, in virtù, probabilmente di una rimodulazione dei mangimi e dell’affinamento della tecnica casara.
In quella meravigliosa aia della masseria aziendale, aperta esattamente sulla linea del sole, tra est e ovest, tra l’alba e il tramonto, favoloso, dietro la dormiente, ritiro spesso un paio di deliziose palle bianche di mozzarella e formette di ricottine. La ricchezza del latte fuoriuscito al taglio e la pasta non omogenea della mozzarella lasciano subito presagire il meglio. Ed, infatti, il gusto è straordinariamente ricco, sapido al punto giusto, con aromi vividi, dolcezza delicata e pastosità non invadente; anche la sensazione di “grasso” dopo l’ingoio, tipico della mozzarella di bufala, è equilibrato. A Benevento, dunque, fuori dall’area DOP, c’è chi sta iniziando a produrre mozzarella di bufala all’altezza dei migliori casari del casertano (non amo la mozzarella Salernitana, signorina radical chic, per cui non ne istituisco il confronto).
Ho provato, dicevo, anche la ricotta (pur essa ancora in versione sperimentale) e lì, io ateo, vi ho trovato dio. Più che di ricotta, che fa tornare in mente un sottoprodotto insipido granuloso, parlerei di panna saporita, perché è quella di una panna ricca degli aromi del fieno la sensazione che avvolge il palato e poi l’intero essere che assaggia questo “esperimento” della San Filarete. La masseria esiste prima e da prima dell’azienda. Passeggiarvi in attesa di provare gli “esperimenti” sublimi, circondati da colline, monti, verde, qualche rumore di stalla, la varia docile umanità dei proprietari e dei lavoratori, è un’esperienza di gran piacere e di non mero gusto. C’è la convivialità casuale con gli altri “assaggiatori” del sabato mattina, il silenzio della campagna, la ritualità della consegna, il piacere della discussione con i lavoratori dell’azienda, la scoperta di una campagna che varia di settimana in settimana, con gli ortaggi che crescono, i colori che mutano, la curiosità di scoprire cosa bolle in fattoria, cosa si sta producendo. L’agricoltura ha ritmi profondamente diversi da quelli del processo industriale.
La mozzarella e qualsiasi altro prodotto sono l’esito di un processo lunghissimo. A noi cittadini vedere la “lentezza” dei movimenti del lavoro agricolo fa bene. Abituati dalla frenesia delle nostre vite, dalle pubblicazioni e dai documentari televisivi a raffigurarci la “produzione” come un processo meccanico, che scorre veloce tra nastri trasportatori e macchine ultraprecise, siamo costretti a riflettere per trovare un nesso tra l’andamento lento del trattore e la mozzarella che stiamo per assaggiare, tra la camminata flemmatica e pesante dell’operaio e il barattolo di pomodorini sotto salsa che portiamo a casa. A Benevento, dopo il Musa, in località San Cumano.
Abbinamento gour_man per la mozzarella di bufala: falanghina, franciacorta (se possibile, dosaggio zero).

 

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