Cronaca in due puntate di una giornata a Napoli – 1. Leguminosa

1. Leguminosa

Dalle Alpi alle Piramidi, dalla Sicilia al Piemonte, dal fagiolo “cosaruciaru” di Scicli alla Piattella di Cortereggio, sotto il segno dei legumi. A Napoli in Galleria Umberto I° ed in altre location limitrofe si è svolto lo scorso week-end LEGUMINOSA. Slow Food e 40 aziende agricole hanno presentato, venduto, discusso e cucinato legumi. Organizzare un evento sui legumi mi è parsa una sfida coraggiosa, enorme, mi ci sono fiondato.

Erasmo Timoteo, uno degli organizzatori dell’evento nonché leader della condotta Slow Food di Benevento, spiega “Siamo arrivati a questa manifestazione dopo un lavoro di tre anni e tanti piccoli passi. Il legume è centrale nella politica di Slow Food, racchiudendone contenuti essenziali: lotta all’inquinamento (15.500 litri di acqua per un kg di carne bovina contro i 4000 per un kg di legumi), tutela della salute, favorendo un’alimentazione più sana secondo lo stile mediterraneo, economicità, tenendo presente anche i costi connessi alla produzione della carne di cui spesso non si tiene conto.”

La Campania è la regione più rappresentata a Leguminosa; nonostante la devastazione del territorio è ancora, infatti, una regione di grande interesse agricolo “anche per il lavoro di Slow Food attraverso i presidi, i mercati della terra e le comunità del cibo”. Non è un caso, del resto se Gaetano Pascale, Presidente per la Campania, sia candidato alla presidenza nazionale dell’associazione di Carlo Petrini.

Girando per il mercato allestito in galleria si coglie un’atmosfera è bella, accogliente, calda, un po’ per l’allestimento  “rifiuti zero oriented”, con banchi, sgabelli, espositori in cartone compresso, un altro po’ per l’atteggiamento non meramente mercantile delle aziende che animano esposizione e commercio: parevano infastiditi i produttori cui non chiedevi informazioni, limitandoti ad osservare o solo a comprare,  avevano voglia di spiegare e raccontare. E così avrò ascoltato almeno tre panegirici sul fagiolo di Controne, un paio sulle cicerchie e diverse varie apologie della lenticchia e del cece. Meglio così.

Un po’ allergico, però, alla filosofia del chilometro zero, concetto che confligge fortemente con la mia curiosità e con la voglia di scoprire cose nuove, ed anche stanco delle filippiche su produzioni di prossimità a me già note, volgo l’attenzione alla “piattella canavesana” di Cortereggio, in Piemonte: fagiolo reniforme, precisa la scheda del presidio. Il produttore mi spiega che si tratta di un fagiolo dalla buccia particolarmente sottile per via della scarsa presenza di calcio nella zona di produzione e mi racconta che lassù lo mangiano in zuppe di verdure o anche in insalata, lasciandolo cuocere una notte in pignata di terracotta, al tepore lieve del camino spento. Beh, usanza in qualche modo analoga alla nostra. Da bambino amavo il pane cotto nell’acqua di cottura dei fagioli, lasciati da nonna nella pignata accanto al camino acceso o al braciere.  Oggi non solo non abbiamo camini e bracieri ma è soprattutto difficile trovare lo stesso pane. Non basta, infatti, che sia raffermo deve essere un po’ “ammazzaruto”, bello compatto altrimenti si spugna e frantuma come un pavesino nel latte bollente.

Abbandoniamo la nostalgia e scendiamo a Scicli in Sicilia, provincia di Ragusa dove producono il fagiolo “cosaruciaru”, un fagiolo particolarmente dolce, bianco con screziature tra il viola ed il marrone. Cambiano latitudini e sapori, restano le stesse usanze ed abbinamenti; anche i siculi mangiano il loro fagiuolo in zuppa con le verdure.

Tra gli antipodi, Sicilia e Piemonte, molta Italia e tanta varietà di legumi: cicerche, ceci neri, lenticchie, fave. Incontro Giorgio Del Grosso, condottiero Fortorino e compagno di ricche e vivaci nottate di venerdì quaresimali, in cui si tirava avanti tra salumi, formaggi, agnelli,  vini al fiasco, canzoni e frutti dimenticati. Ed anche in Leguminosa Giorgio si dedica ad ostacolare l’oblio guidando “l’arca dei legumi” un progetto per catalogare i prodotti simbolo di tradizioni e culture.

Senza salumi e formaggi, produzioni di maggiore attrazione e più svelta consumazione, Slow Food ha portato 12 mila persone attorno ai banchi ed alle tavole imbandite con la “carne dei poveri”. Non sono un acritico socio Slow ma devo riconoscere che questa è stata un’apprezzabile impresa.

A Leguminosa ci sono giunto a stomaco pieno. Ma di questo racconto la prossima volta.

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