The great gig in … Paduli

Il mio amico Giancarlo non manda mai inviti a casaccio. È selettivo, abbastanza riservato e molto scrupoloso. Sicché, quando mi sono ritrovata una social-notifica con la quale mi chiedeva di partecipare a questa inaugurazione, lo confesso, ho accettato senza neanche approfondire.

Poi mi è toccato sapere di che parlavamo, quindi ho visitato la pagina dell’evento, e poi quella del locale. Ho capito bene: questo nuovo Wine Bar, che ha aperto a Paduli, in provincia di Benevento, si chiama proprio Il profumo del mosto selvatico, come il film. Sorge spontanea la prima di una lunga serie di destabilizzanti domande: perché mai un uomo sceglie un nome così romanticone per il suo locale? “Lo scopriremo solo andando”, dico a me stessa mentre raggiungo la meta.

Ore 21.00 circa, Paduli è assediata da fanatici del pizza e liscio; dopo un tortuoso tragitto (tortuoso per il tacchetto che mi sono schiaffata, mica per altro, tanto a voi che ve ne frega se, attraversando il ridente paesello, una donna deve abbattere almeno un centinaio di transenne per guadagnare il suo ambito traguardo…?) arrivo in piazzetta Annunziata e tra la folla distinguo nettamente il ciuffo di Giancarlo, che mi fa cenno di avvicinarmi per farmi raccontare la storia del luogo.

Gianluca Lo Sapio, insieme ad altre tre persone, ha un’attività di selezione e distribuzione vini, ispirata all’artigianalità e al racconto dei territori, molto specifica, mi dicono. Se ne può avere un’idea visitando il sito www.thegreatgiginthewine.it. È proprio come sembra: il nome è un libero adattamento della famosa canzone dei Pink Floyd.

… Questi uomini passionali – seconda considerazione destabilizzante- tendono sempre ad unire in un unico tratto i loro grandi amori.

La serata scorre piacevole tra stuzzicherie, bollicine e dolci benauguranti. Ho qualche difficoltà a capire la disposizione delle etichette negli originalissimi scaffali fatti con cassette di legno – quelle della frutta, per intenderci – piacevolmente assemblati nel retrobottega, mentre all’ingresso ad accoglierci è un nostalgico bancone, vagamente retrò, dal quale non bisogna lasciarsi intimorire. Le bottiglie, dicevo. Già a colpo d’occhio anche  una semplice vecchia beona come me comprende che si tratta di scelte originali, questo è poco ma sicuro, per una proposta che richiede coraggio, impegno e tanta sbarazzina incoscienza. D’altronde, altro particolare disarmante, Gianluca ha solo 31 anni.

Bene, mi dico ancora verso una certa, torniamocene a casa. Mi ritengo soddisfatta e affascinata Qb. In Villa Comunale risuona un altro massacro perpetrato ai danni di “Se bruciasse la città” di Massimo Ranieri (ah! Milly Carlucci, ch’hai fatto) e le coppie più improbabili si lanciano in uno scatenato paso doble. Io mi alzo e mi accingo a lasciare la piazza con piglio incerto, mentre Gianluca arriva con un vassoio strizzando l’occhio: porta una bottiglia da 75, sottile, con un liquido color amarena all’interno e sei bicchierini per i suoi amici, tra i quali Giancarlo e me, fortunato neoacquisto della cricca, evidentemente.

– È un distillato di ciliegia!, esordisco trionfante, e in effetti lo era. Barcollando e salutando tutti con improbabile disinvoltura, esco definitivamente di scena dopo il cicchetto, in cerca della mia auto. Come dice la famosa canzone che ha ispirato tutto questo: “I never said I was frightened of dying”.

E così sia.

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