L’inconsapevole vendetta storica della “confusa” Repubblica Farinettiana di Eataly

Genova, porto antico, l’area completamente ridisegnata da Renzo Piano nel 1992 per le celebrazioni delle imprese di Cristoforo Colombo. Nell’edificio ristrutturato del “deposito franco”, all’ultimo piano, trova sede la filiale genovese di Eataly, la catena di Grande Distribuzione Organizzata di prodotti di alta  qualità ideata da Oscar Farinetti.

Per lo più si tratta di una collezione di marchi di fascia alta, per qualità e prezzo of course, reperibili anche altrove. Eccellenti, almeno a Genova, l’area delle verdure e quella dei formaggi. Per il resto scatolame e marketing, di qualità.

Si può mangiare in vari ristorantini ed angoli tematici. Il coperto qui si chiama “pane e cortesia a volontà” e costa un euro.

E poi c’è IL MARIN, il ristorante che definirei d’aspirazione confusa. Un po’ verso l’alta cucina e un po’ verso la trattoria, un po’ verso il formale e un po’ verso l’informale. Alla fine non riesce ad essere nulla o forse riesce ad essere perfetto. Perfettamente radical chic.

Accoglienza, anche telefonica, formale e molto cortese.

Nella sala tavoli da vecchia osteria, rifatti però, con struttura in legno ruvido e piano in marmo, trattato con resine che ne attenuano il freddo e ne inibiscono l’assorbenza, per evitare macchie, fanno da contraltare alla moderna architettura della splendida vetrata sul BIGO, l’ascensore tirato su e giù, come un container, da un complesso groviglio di cavi ed affusolati bracci bianchi,  e della la cucina a vista.

Non ci sono tovaglie e le posate sono tenute in equilibro da un supporto di terracotta celeste cielo o azzurro mare, lo stesso seducente colore del cartoncino che avvolge le pagine di bella carta avorio del menù e della carta dei vini.

E qui le cose iniziano a squadrare, a rivelare la realtà della finzione.

L’assenza della Campania nella lista dei rossi, induce e rileggere. Forse che il sorso d’acqua abbia prodotto allucinazioni? Quando poi appare il TAURASI, Feudi di San Gregorio, tra i rossi della Basilicata il dubbio sulla propria lucidità si fa insistente. Deve essere astinenza da alcol, stanchezza, presbiopia. Se non che, anche dopo il primo bicchiere di un ottimo Vermentino Colli di Luni, il Taurasi, una delle DOCG più prestigiose della Campania, nella cartina enografica dei “Farinetti boys”, riaperta cautamente, ponderando i movimenti, calibrando gli occhiali, resta risucchiato nella terra del Vulture.

Lo chef si presenta con uno “spitz rivisitato”, un incrocio tra cucina molecolare e consistenze ordinarie: spuma di alcolica rosa aperol, mandarino, oliva denocciolata. A seguire, altro piatto di presentazione, muffin di sarde su una salsa allo yogurt dominata dalla piacevolissima freschezza degli aromi di sedano ed erba cipollina.

Paola, splendida direttrice della sala, fa del suo meglio per raccontare il resto del menù e parte dal banco del pesce. I ciciarelli di Noli, luccicanti e vermigli di sangue, ed un pagello dall’occhio brillante non possono passare inosservati.

I ciciarelli sono presidio “Slow Food” e pare tenerne conto lo chef che li tratta con assoluto riguardo, traendone una tempura delicatissima che serve con accompagnamento di composta di arance, forse più in onore alle esigenze dello store che del gusto. Troppo dolce. La tempura di ciciarelli basta a se stessa.

Con i primi si torna al disorientamento della carta dei vini. Lasagnetta bianca di pesce e ravioli al pesto invertiti.

Il pesce, pure di pregio, non manca nella lasagnetta ma è tutto troppo slegato ed il giallognolo dello strato superiore della pasta non lascia presagire nulla di buono. Le arselle sono tiepide, il gambero appena più caldo. Si ha l’idea di un assemblaggio di semilavorati, semicotti e precotti. Intollerabile.

Il pesto è nei ravioli, di qui l’inversione, e la rievocazione della tipicità del piatto è recuperata da un greve cuscino di purea di patate su cui sono appoggiati i ravioli e qualche fagiolino rigirato intorno ai ravioli. Tentativo inutile e malriuscito di rivisitare un gran classico.

Arriva il pagello cotto alla ligure, in cartoccio con pinoli, olive nere, capperi e patatine novelle. Esecuzione nella norma. Il pesce è eccelso. Davvero da gran chef il prezzo, 67 euro. Per un pagello di 600 grammi fanno 100 euro al chilogrammo. Deve essere il contrappasso della storia; nel XVI° secolo la Repubblica di Genova per far fronte alla scarsezza dei raccolti concede il porto franco alle navi che trasportano granaglie, nel terzo millennio, con l’abbondanza del cibo, la Repubblica Farinettiana di Eataly salassa gli incauti navigatori del gusto che si trovano ad approdare al suo molo.

 

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