La riscossa campana con una falanghina in resta

Ho promesso a Nicola Matarazzo, consulente e grande esperto di vino, di non erigere, con questo articolo che covo da tempo, un monumento alla sua figura non foss’altro perché  “i monumenti celebrano i morti”. Riascoltando la registrazione della cordiale discussione di qualche mese fa mi trovo, però, questa sua frase: “nel 1998 proposi una rassegna enologica sulla falanghina ad un Comune, dicendo: questo vitigno nessuno lo conosce ma secondo me prima o poi avrà successo”.

Nel 2015 la Camera di Commercio di Monza e Brianza diffonde dati raccolti nell’ambito del progetto Economic Reputation Index ed io me li ritrovo nella mail proprio mentre rileggo la profezia di diciassette anni prima: il brand falangina (sannio falangina, per la precisione) vale sul mercato più del Sassicaia, il supertuscan di fama mondiale immancabile nelle cantine degli appassionati e collezionisti nonché sui banchi delle battute d’asta di Sotheby’s.

Le porte del successo sono finalmente schiuse per questo bianco diffusissimo nel Sannio, dove i Mustilli hanno iniziato ad imbottigliarlo per primi nel 1979, ma presente su tutto il territorio campano e non solo e che assume tratti peculiari, del tutto “terroiristici”, in area flegrea.

Falanghina Felix, coraggiosa manifestazione monovitigno che ha superato il decennale, la cui ultima edizione si è tenuta tra Sorrento, Benevento e Milano nel dicembre scorso, ha contribuito senza dubbio a coltivare germogli di successo, favorendo la conoscenza di questo vino ed incitando i produttori ad investire su quello che Riccardo Cotarella, enologo potente, artefice dell’insipido Pinot Noir umbro di Massimo D’Alema & Co, prima di apprezzarlo, diceva di conoscere solo perché glie ne avevano parlato come del vino base per la produzione dei vermouth in Piemonte.  Soprattutto, però, la parafrasi dell’antico toponimo Campania felix ben rappresenta la capacità di questo vino di unire un’intera regione sotto l’egida della gioia del buon cibo e del buon bere. Se per un verso tra la zona costiera e quella più interna, tra l’ardore vulcanico della terra flegrea e la morbida lussureggiante asprezza del Sannio, si producono le più intriganti e saporite falanghine d’Italia e quindi del mondo, per altro le dolci mozzarelle aversane e cilentane e le melanzane fritte, a funghetto o alla parmigiana, trionfo della cucina campana, trovano la più appagante compagnia in un fresco bicchiere di questo antico vino.

L’accoppiata “pizza & falanghina”, lanciata giusto il mese scorso, è una ben piazzata mossa di marketing che associa un vino in ascesa ad un prodotto ai vertici della popolarità, coinvolgendo personaggi di grande popolarità come, da ultimo, Gino Sorbillo; al contempo, però, va pure osservato che la giustezza dell’abbinamento, dal vostro cronista praticato dal suo primo bicchiere di oltre vent’anni fa, evoca panorami di piacere intenso capaci di lenire o sopraffare la bruttezza invadente che pur ci avvilisce.

Pare proprio che una riscossa campana possa partire con un bicchiere di falanghina in resta.

 

Articolo apparso sul “ROMA” dell’11 aprile 2015 nella rubrica Odissea Gastronomica

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