Intervista a Nino Pascale, Presidente Slow Food Italia

Si apre giovedì prossimo a Torino il Salone Internazionale del Gusto e Terra Madre, organizzato da Slow Food, l’associazione fondata nel 1996 a Bra da Carlo Petrini ed oggi guidata dal campano Gaetano Pascale. La tutela della biodiversità e dei piccoli agricoltori, l’educazione al gusto, la valorizzazione di produzioni tipiche locali, l’impegno per un’agricoltura sostenibile portato avanti con iniziative a livello internazionale, sono i temi che da sempre contraddistinguono questa associazione che, come espressamente sostiene, intende avere un peso politico, ossia incidere sulla realtà.

I numeri della kermesse torinese sono imponenti: 80.000 metri quadrati di aree destinate ad espositori provenienti da oltre 100 paesi, 200 presìdi italiani e 120 internazionali, 225 appuntamenti su prenotazione, 86 conferenze e 53 attività didattiche.

E’ una fiera, Presidente Pascale?

Molti considerano il Salone una fiera alimentare ma questo non è. Si tratta di un evento culturale prima che commerciale. Le dico, ad esempio, che attraverso l’Arca del Gusto, il nostro progetto per catalogare i prodotti che appartengono alla storia ed alla tradizione di ogni territorio del pianeta e che rischiano l’estinzione,  non solo coltiviamo la biodiversità ma rendiamo interattiva la manifestazione. Ciascun visitatore, infatti, può portare bordo dell’arca un prodotto che ritiene meritevole di salvaguardia. Non esiste alcuna fiera che faccia una cosa del genere.

Un altro tema del salone è l’agricoltura familiare, che significa?

Viviamo un momento particolare per l’agricoltura: nel momento in cui si parla così tanto di agricoltura non si parla ancora abbastanza di agricoltori. L’agricoltura familiare, di cui quest’anno si celebra l’anno internazionale, pone al centro del modello di produzione agricolo le persone e non le entità astratte. E’ un tema questo che riteniamo fondamentale e che insieme all’arca del gusto consideriamo un pilastro fondamentale di ciò che rende peculiare ed unico il salone del gusto, che per noi, voglio ricordarlo, costituisce anche l’occasione per rivolgerci ad un pubblico molto più ampio di quello con cui solitamente interloquiamo.

Lei poc’anzi ha detto che il salone è un evento culturale prima che commerciale. Ci sono due anime in slow food? Una più orientata a dare uno sbocco commerciale alle iniziative ed una più orientata a rimanere con “i piedi ben piantati nella terra”, titolo di un paragrafo del documento programmatico che lei ed il suo gruppo avete presentato al congresso che poi l’ha eletta Presidente? 

Non credo esistano due anime in Slow Food. Esiste una discussione come è normale che sia in qualsiasi organizzazione. È pacifico che si discuta e che si abbiano differenti approcci ai problemi. Poi esiste la sintesi. Il nostro documento, improntato ad un legame forte con la terra, l’agricoltura, la figura dell’agricoltore, ha rappresentato la sintesi che l’associazione ha scelto. I piedi ben piantati nella terra significa che noi abbiamo obiettivi alti ma che l’orizzonte non lo puoi raggiungere volando, l’orizzonte lo raggiungi camminando e camminando sulla terra.

Torniamo al Salone del Gusto, mi pare che una novità importante sia costituita dal grande rilievo dato alle  iniziative sul tema della didattica e dell’educazione al gusto, cui è dedicato un intero padiglione.

La rivoluzione per un’agricoltura sostenibile e centrata su biodiversità e persone non si realizza se non crei una nuova generazione di consumatori. Occorre un approccio completamente nuovo, se non facciamo cultura gastronomica su quelli che poi decidono i destini dell’agricoltura familiare o della biodiversità, che sono i consumatori, la battaglia non la vinceremo mai. Quindi la didattica è uno degli strumenti operativi più importanti. Ovviamente la didattica non la facciamo al Salone del Gusto ma rappresenteremo i modelli che vorremmo sviluppare quotidianamente.

Una delegazione di 102 migranti racconteranno la propria esperienza nella filiera agroalimentare italiana. Slow Food attraverso varie esperienze è attiva in Africa e nei paesi poveri. Perché questa attenzione? Slow Food è impegnata in Africa e in altri paesi poveri per realizzare quel modello di produzione agricola centrato sulle persone, di cui parlavamo a proposito dell’agricoltura familiare. In secondo ordine c’è l’obiettivo di dare a quelle persone l’opportunità di scegliere dove vivere. Oggi scappano da quei paesi perché non hanno alternative, non hanno scelta. Le persone devono avere la possibilità di rimanere dove nascono. Se poi non vogliono restarci perché hanno voglia di scoprire il mondo è un altro conto, ben diverso dal dover scappare per disperazione.

Lei è un campano ed ha guidato l’associazione in Campania prima di divenire Presidente nazionale. In questa regione in cui la terra è vituperata, offesa ma anche mal rappresentata in ciò che di buono ha, lo scorso anno una grande manifestazione, che era una grande sfida, è stata organizzata con successo. Parlo di Leguminosa. C’è un futuro a sud ma di rilievo nazionale per questa manifestazione, sul modello di “Cheese” ad esempio che si tiene a Torino o di “Slow Fish” che si tiene a Genova?

La prima edizione di leguminosa è stata una scommessa. Non è facile aver successo con una manifestazione sui legumi. Slow Fish che è una manifestazione più di contenuto, di concetto che di prodotto. Con Leguminosa attraverso il prodotto parliamo di sostenibilità delle produzioni agricole, di salute secondo il modello che prevede la riduzione del consumo di carne e di altri temi per noi importanti. Quindi Leguminosa è una manifestazione importante. E’ pur vero che fare una manifestazione a settecento chilometri dal cuore pulsante dell’organizzazione richiede un impegno gravoso per la struttura regionale. Se possiamo sperare di rendere Leguminosa più grande di quella che è stata lo scorso anno è solo perché abbiamo qui in Campania un’associazione regionale molto forte ed autorevole.

Per finire, mi racconta la sorpresa, la scoperta o l’emozione più grande del Suo primo giorno negli uffici di Bra?

La cosa più bella e che mi ha fatto molto piacere è stata l’accoglienza molto calorosa di chi lavora da tempo in sede. Non ho mai fatto parte dello staff interno per quanto abbia vissuto Bra per tanti anni come dirigente territoriale. Non sono mai stato, insomma, organico alla struttura. Essere accolto come una persona che è sempre stata là mi ha fatto davvero enormemente piacere.

Anche dal punto di vista  strettamente lavorativo si è creato un discreto feeling con le persone che da sempre ricoprono ruoli dirigenziali.

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