Un dolce pasquale campano: il pizzo panaro

dolce pasqualeIl dolce pasquale campano per antonomasia è, manco a dirlo, napoletano ed è la pastiera. Non c’è concorrenza. La pastiera è uno dei dolci più squisiti del globo terraqueo, per usare un’espressione in voga.

È, invero, anche un dolce divisivo.  I golosi si dividono in due grossi, agguerriti eserciti: chi la ama e chi la detesta.

Anche sulla ricetta ci divide, in questo caso in mille fazioni o, per meglio dire, in infinite famiglie. Ciascuna ha la sua ricetta e pretende che sia la migliore o quella autentica.

Qui, però, vogliamo parlare di un altro dolce pasquale. Minore, molto minore, poco noto, ma peculiare giacché si scarta la domenica delle palme e non a Pasqua. Parliamo del dolce beneventano pizzo panaro.

Un ricordo personale

Ero bambino quando mia nonna, Adele, nome, ahimè, in disuso, qualche giorno prima di andare a Caserta a far visita alla sorella, correva ansiosa da Sassano, una pasticceria di via Rummo che ora non c’è più, a prenotare un chilo di “raffaiuoli”.

Si raccomandava col pasticcere affinché li preparasse il tal giorno, quello esatto prestabilito per la visita e fossero dunque freschissimi e profumatissimi.

I raffaiuoli erano, per me imberbe e già mangione, un sogno proibito. Il vassoio enorme, avvolto in una carta carta bianca, croccante, zuccherosa, appena lucida, con la scritta blu e un tocco di rosso, era off limits; potevo giusto sperare che alcuno dei dolci sfuggisse in qualche modo dall’incarto perché il vassoio non lo conteneva.

Il pizzo panaro

Il raffaiuolo, come mi è stato spiegato in una delle pasticcerie che ancora li producono, è un derivato, il fratello minore, del PIZZO PANARO, il vero dolce pasquale tipico beneventano.

Consiste di un disco di pan di spagna ricoperto di “naspro”, la glassa di zucchero sciolto con l’acqua che si rapprende una volta raffreddatasi. Talvolta la mistura è arricchita dall’aroma di limone o di anice.

Un dolce estremamente semplice, dunque, eppur di straordinaria ricchezza: una ricchezza fatta di sensazioni visive e tattili prima che gustative.

Il candore omogeneo e liscio del naspro, appena rallegrato dai “diavulilli”, gli zuccherini colorati, lascia presagire una dolcezza innocente, naturale, e una tenerezza che contrasta con l’aspetto visibilmente duro della glassa.

Ed in effetti spezzando ed addentando il PIZZO PANARO si avverte, con piacere, il contrasto tra la morbidezza estrema del pan di spagna ed il croccare del naspro. In questa contrapposizione morbido/croccante risiede la caratteristica più entusiasmante e l’originalità di questo dolce pasquale beneventano il cui Il gusto è gradevolmente, ma banalmente dolce.

Soffre l’aria il PIZZO PANARO perché se il pan di spagna si secca è la fine: la durezza del pan di spagna fa un tutt’uno con quella del naspro, il dolce diventa una pietra friabile, fastidiosa, il cui sapore scontato finisce per non appagare.

Era questo, evidentemente, il motivo per cui mia nonna, in un’epoca in cui le confezioni ermetiche non erano diffuse, pretendeva che i raffaiuoli fossero preparati il giorno esatto in cui dovevano esser donati.

Il raffiauolo è un pezzo ovale di pan di spagna, ricoperto di naspro; in sostanza un pezzo di Pizzo Panaro, senza “diavulilli”, però.

Dolce pasquale, dolce di primavera

Gli zuccherini colorati “simboleggiano la primavera, con i suoi colori, la sua allegria”, mi dicono i pasticceri che ancora produce il Pizzo Panaro ed anche i raffaiuoli.

In questi antri, nel periodo pasquale più che mai, si è avvolti e piacevolmente sconvolti da irresistibili aromi di anice, zucchero, vaniglia e quant’altro ben di dio si usa(va) in questi laboratori del piacere che sono le pasticcerie.

Sono sempre più rare, oramai, le pasticcerie dove, entrando, si è investiti dalla tempesta aromatica sprigionata degli ingredienti delle creme e degli impasti. La diffusione di semilavorati vari, preparati inscatolati e polverine preconfezionate, le cappe iperefficienti, hanno reso neutre al naso le pasticcerie moderne, con grave perdita per l’esperienza olfattivo evocativa dei golosi del terzo millennio.

Un dolce per bambini

Ma torniamo al Pizzo Panaro. Pare si chiami così perché la forma tonda è quella tipica di una pizza (pizza dolce, “a pizz e pan e spagn”).

I bambini e i giovinetti, che la domenica delle palme, recando il ramoscello d’ulivo ai padrini e alle madrine di battezzo nonché ai nonni, lo ricevevano in dono, portandolo via in un “panaro”, una cesta.

Il dolce, insomma, destinato a piacere ai più piccoli, di qui la sua semplicità.

La circostanza che il PIZZO PANARO fosse donato in occasione di una ricorrenza così importante ne attesta la popolarità e la tradizione, secondo alcuni risalente addirittura al ‘500.

Con il rarefarsi di quelle espressioni  di affetto consistenti nella visita affettuosa nei giorni delle feste comandate, sostituita da telefonate, sms e messaggi in rete, si è rarefatto anche il Pizzo Panaro.

Non riuscirò mai capacitarmi del perché un dolce così originale e saporito, di gusto facile, di esclusiva produzione beneventana, e quindi arricchito dal valore dell’esclusività, debba subire il destino di dolce minore, quasi destinato all’oblio.

Il pizzo panaro è certamente repirebile nel periodo immeditamente precedente la domenica delle palme in queste pasticcerie di Benevento:

Fabbriche Riunite di Torrone Benevento
Viale Principe di Napoli, 123
0824 21116
Pasticceria Bianchini
Via Napoli, 135
0824 361019
Pasticceria Sassano
Via Salvemini, 12
0824 278581

dettaglio raffaiuoli Pizzi panari pizzo_panaro_good prima della glassatura 2 pan di spagna

 

2 comments On Un dolce pasquale campano: il pizzo panaro

  • Ma le foto delle nocchetelle di Buonalbergo non ce le hai più? So che appartengono ad un periodo triste. Però io le ricordo spesso

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