Il baccalà

“Il pesce veloce del baltico”, il merluzzo atlantico (gadus morhua), viaggia a lungo sotto la calotta artica del mare di Barents, per raggiungere, partito dalle coste del Labrador e da Terranova, il paradiso di acque più “tiepide” (7°). Viaggia veloce e profondo, scendendo fino a 80 metri per trovare prede, fermandosi a ridosso delle coste norvegesi delle isole Lofoten, che offrono l’habitat ideale per la riproduzione. Ideali per l’essiccazione sono anche i forti che battono quelle coste; i vichinghi furono i primi a pescare ed essiccare per conservare. Il merluzzo essiccato su rastrelliere sostenute da bastoni (stokv) è lo stockvfish, da qui, secondo alcune tesi, stocco; per altri l’origine della parola verrebbe dalla città norvegese di Stokke e per altri ancora dall’aspetto, simile ad un bastone (stock), del pesce, che raggiunge anche il peso di 50 chili e la lunghezza di 1 metro.

Il baccalà è lo stesso merluzzo e conservato sotto sale immediatamente dopo averlo issato sulle barche (shooner, erano le più antiche) ed averlo sottoposto a trattamenti analoghi a quelli dell’uccisione del maiale, secondo la tradizione. E del resto il merluzzo è anche detto il maiale del mare perché non se ne butta via nulla: la lingua è una prelibatezza per i norvegesi, le uova sono ricercate come il caviale nei paesi nordici, mentre le teste e le guance sono preferite anche ad altre latitudini; dal fegato, poi, se ne ricava il famigerato olio ed in Islanda anche la pelle era cucinata; lo stomaco del merluzzo è usato in Giappone per la preparazione del sushi. Esistono diverse teorie in ordine all’origine del termine baccalà; a me piace credere a quella per la quale il termine deriverebbe da BACALLAOS, parola con cui gli indigeni delle coste meridionali del Labrador chiamavano i merluzzi. I primi a conservare sotto sale il merluzzo atlantico, furono i pescatori baschi di balene, che, spinti da un periodo di scarsità, si spinsero sempre più a nord e finirono col pescare i merluzzi che conservarono con la stessa tecnica che usavano per la carne di balena: la salatura, appunto. A tutt’oggi i baschi (ed anche i portoghesi), contrariamente all’Italia, non si limitano ad importare baccalà ma hanno stabilimenti di produzione autonomi. Del tutto peculiare è anche la loro cucina. Il piatto più saporito che mi sia capitato di mangiare è il basco Baccalà PIL PIL, una sorta di crema di baccalà, cui si giunge dopo una cottura lunghissima con fiamma estremamente dolce.
Per noi mediterranei la stagione del BACCALA’ si allunga da ottobre a marzo. Stagione culinaria, intendiamo, giacché durano l’intero anno i commerci del merluzzo atlantico salinato, importato, per lo più, dalla Norvegia e dall’Islanda. I baccalà migliori secondo molti sono quelli catturati nelle acque delle isole Lofoten, Norvegia, in quanto i pesci in Islanda giungerebbero più sfibrati, essendo più lungo il tragitto da coprire per raggiungere queste coste, in ragione della strana rotta della loro migrazione; altri, tra cui il professor Valli del Beneventum Baccalà Club, sostengono che il baccalà islandese sia migliore in quanto i pesci verrebbero puliti e salati immediatamente dopo la pesca a bordo dei battelli, contrariamente a quanto avviene in Norvegia dove , a causa della maggiore meccanizzazione della pesca e della lavorazione, i pesci sarebbero più “stressati” al momento della salatura. Anche la classificazione del baccalà cambia a seconda del paese di origine, gli islandesi classificano i pezzi in base alla taglia del pesce, identificando con quattro A i più grandi, ovvero quelli di peso superiore ai 4 kg. I norvegesi, invece, adottano un sistema peculiare, pur sempre basato sulla taglia, indicando il numero di pezzi contenuti in un cartone di 50kg: più basso è il numero di pezzi per cartone, evidentemente, maggiore è la taglia del singolo pesce. I baccalà migliori sono quelli di taglia più grande.
Comprare il baccalà salato e dissalarlo confligge con l’attitudine sempre più diffusa a comprare alimenti da cucinare nel minor tempo possibile, che induce all’acquisto di filetti già “spugnati”. Non bisogna cadere in questa tentazione malefica. Innanzitutto, spesso questi filettoni sono ricavati da altre specie di merluzzi o addirittura da altri pesci, in second’ordine, che per noi, in vero è il primo, acquistare un baccalà (un pezzo o, meglio, intero), è parte integrante del piacere di gustarlo: dividere il pesce in pezzi, curarne il bagno, suddividere i pezzi per spessore, il più alto per le cotture delicate, lo spessore medio per l’aggressività della frittura, i pezzi più bassi per la preparazione dei condimenti, sono fasi in cui matura quella conoscenza che è necessaria al piacere del mangiare . E non solo. L’acquisto del baccalà salato, infatti, consente anche di verificarne la pezzatura e, allungando lo sguardo qua e là tra i cartoni del negoziante, di verificarne l’origine.
L’ammollo del baccalà deve durare due/tre giorni con frequenti ricambi di acqua, almeno tre al giorno diciamo, tenendo il recipiente in un luogo fresco. Una temperatura troppo alta durante l’ammollo, infatti, produce lo sfilacciamento e spappolamento delle carni, questo è il motivo per cui non si cucina il baccalà nei mesi più caldi.
La Campania è, in Italia, il mercato più fiorente del baccalà e proprio ai grossisti dell’area partenopea, e vesuviana in particolare, siano riservate le partite più pregiate.
Il baccalà è un pesce della tradizione popolare, per la sua attitudine alle lunghe conservazioni e per il prezzo (che era) accessibile anche a tutti. Le ricette della tradizione, del resto, sono costruite con ingredienti “umili” (patate, cipolle, verdure). Oggi, oramai, al popolarità del baccalà sta solo nella sua diffusione e nel suo impiego anche nelle cucine più elaborate. Il prezzo non è più sui livelli bassi e non a caso Paolo Conte canta di “baccalà e polenta – cucina povera e umile – fatta d’ingenuità – caduta nel gorgo perfido – della celebrità”. Ancor più, dunque, dedicarsi in casa alla cura del pezzo salato, impregnando le mura domestiche del perfido e saporito odore del merluzzo, è un esercizio utile a sdoganare dallo snobismo il nostro amato baccalà.
“Conservare e diffondere la cultura del baccalà”, che è intimamente legata alla tradizione popolare, è anche l’obiettivo che esplicitamente anima, a Benevento, un sodalizio tra autorevoli ed eruditi personaggi della vita politica e culturale della provincia. A guidare le liturgie di questo sinedrio è il Priore, onorevole Roberto Costanzo, seguito da fedelissimi apostoli (si riuniscono a tavola sempre in 12) ciascuno dedito alla causa con diverso ruolo, come l’ispettore di sala, già Sindaco di Benevento, Antonio Pietrantonio. Onore al merito a questi esploratori del gusto che, cibovagando per la regione, compilano schede di degustazione, attribuendo meriti ed eventualmente encomi agli chef che si cimentano con la saporita e versatile bianca polpa del pesce atlantico.
Sapete che lo spirito di questa rubrica è il piacere del cibo; dopo tanto parlare, quindi, non potevo fare a meno di regalarvi qualche indicazione su come cucinare e dove mangiare ottimi piatti a base di BACCALA’. Quelle che seguono sono le ricette cortesemente inviateci da alcuni degli chef interpellati e l’indicazione dei piatti a base di baccalà presenti nei menù dei ristoranti indicati. Buon appetito.

Tre ricette a base di baccalà cortesemente offerte da altrettanti chef in opera nel sannio, clicca qui

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